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21.11.11

Stereotipi

Se uno dice italiano per il mondo vengono fuori le solite storie: mafia, pizza, pasta, casino, rumore, motorini, traffico, moda, calciatori, buon vino, panni stesi ecc.

Ma se vi dico bulgaro? E lituano? Anzi lituana?

Insomma, quanti di questi nuovi cuginetti europei avete conosciuto in vita vostra?
E soprattutto, sapete dove si trovano questi due Paesi?
Io sì, per la storia di sempre, che ero innamorata del mappamondo da piccola, che in una vita passata ero amica di Marco Polo, ma non ci sono mai stata. E di bulgari mi sa che non ne avevo conosciuto neppure uno prima d'ora. Eppure lo stereotipo nel cervellino ce l'avevo.

E così arriva venerdì e mi viene la frenesia. Dove si va domenica? Con chi?
Ve l'ho già anticipato, alla fine la destinazione finale non era né la Bulgaria, né la Lituania, ma l'Austria, in compagnia però di un bulgaro e due lituane.

E allora, uno che si aspetta da un bulgaro?

Io mi aspettavo una versione un po' più montanara di un italiano. Un omaccione. In maniche corte a 20 gradi sotto zero. Un po' pelosone, un tripudio di feromoni. Gran fumatore, di sigarette pesantissime e puzzolenti. Manone. Di quelli che ti spezzano il collo a mani nude. O in caso un bel serramanico in tasca. Qualche cicatrice, preferibilmente in faccia. E un macchinone infangato.

E da una lituana che ci si aspetta?

Beh, una stangona, biondona, sguardo assassino, resistente a temperature glaciali. Vestita di nero, stile Matrix. Di poche parole. Con un marito marinaio oltremare. Su qualche piattaforma petrolifera. E come hobby la caccia.

Stereotipi. Lontanissimi dalla realtà.

                                   Vi presento Ieva 1 e Ieva 2, le lituane, e Hristo, il bulgaro.


Niente maschione caprone, ma un ragazzo gentilissimo ed educatissimo, macchina senza macchia e niente serramanico in tasca. A cui fa schifo il fumo e che nella vita costruisce robot, non armi di distruzione di massa.

Niente stangone silenziose, resistenti alle glaciazioni. Ma due freddolosissime ragazze cinguettanti e sgargiulette.

E insomma, siamo partiti. Alla fine abbiamo preso l'autostrada. Hristo non si fidava delle stradine secondarie.
Non aveva una jeep scassata con la marmitta rumorosa.



Sugli alberi le prime spruzzate di neve. Potrei essere poetica. Potrei.
Ma da quando sono qua mi pare che, invece del cuore o dell'anima, parli il mio stomaco.
Insomma, 'ste montagne ed alberelli innevati mi ricordavano ...
mi ricordavano ...
mi ricordavano ...
... lo zucchero a velo del pandoro.

Mi sento come Homer Simpson quando pensa alle ciambelle.



Prima tappa, velocissima, Maribor (Slovenia).
Città fantasma.
Ma gli sloveni la domenica dove si infilano?
Saranno tutti sulla cima delle montagne più alte
O magari in qualche cava sotterranea?
Saranno stati tutti divorati da un drago?
Fatto sta che per strada non c'era anima viva.




Così giusto il tempo di un cappuccino in un bar anch'esso deserto, e poi via, direzione Graz.

(Poi devo dire che io, in Italia, il cappuccino non l'ho bevuto mai, MAI, e qua non faccio altro che cappuccinare. Poi tutti mi guardano in attesa di una mia italianissima opinione, come se io sapessi prepararlo un cappuccino. Quando lavoravo a Granada in un ristorante italiano, ho bruciato 3-4 pentolini nel tentativo di fare la schiumetta di latte. Poi ho desistito.)




A Graz cercavamo il mercatino di Natale.
Io non sapevo cosa fosse di preciso e neppure mi ero fatta queste grandi illusioni.
Le ragazze sì. Non so cosa si aspettassero, però quello che abbiamo trovato non le ha soddisfatte del tutto.
Più che altro perché erano mezze congelate.
Insomma, queste nordiche non amano l'umidità del sud.

Io invece, dato il grasso di foca che sto accumulando da 3 mesi a questa parte non sentivo per niente freddo.
Anche perché avevo la giacca comprata negli USA, da sorella gemella dell'omino Michelin.


Non ho avuto bisogno di ritemprarmi con il vino caldo e le caldarroste che vendevano ogni 2 metri.
In compenso mi sono mangiata una bella pizza alle verdure.
Che nel mio stomaco c'è entrata tutta bella intera.
Salatissima come un branco di acciughe. Solo che le acciughe non c'erano.

Abbiamo gironzolato un po' a casaccio.
Come sapete è uno dei miei hobby.
Nello zaino avevo pure una guida dell'Austria da un chilo e mezzo.
Però non mi andava di tirarla fuori e consultarla.


Insomma, gira che ti rigira, per le piazze e piazzette.
In vari punti della città infatti vengono allestiti banchi che vendono, a parte il vino caldo ed altre bevande alcoliche e non, anche cioccolate varie, pallette di Natale, decorazioni e la solita chincaglieria mondiale. Statue africane, incensi, piccoli e grandi Budda, ponchos e cappellini, candelozze e candeline. Quella roba là.



Abbiamo gironzolato fino a che le due Ieva hanno cominciato a dare i primi segni di serio congelamento.
Scoprendo anche degli strani edifici stile UFO e ponti futuristici, che non sono come non vengano investiti dai flutti quando piove un po' di più.



Quello che mi ha sorpreso è che non mi ricordavo minimamente di esserci stata in questa città, e invece sì che c'ero stata, perché sulla via del ritorno ho visto quel palazzo-cubo rosso di cui vi ho già parlato.

E di ciò che segue non potevo ricordarmene. Perché 10 anni fa questo assurdo fenomeno ancora non esisteva.


Cioè, ma siamo matti? Follia internazionale collettiva?
Lasciatemi sfogareeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Non è possibile.
Che è 'sta storia dei lucchetti che come una piaga crivellano i ponti di mezzo mondo?
Già a Lubiana ci ero rimasta di sasso quando avevo visto l'invasione di lucchetti su uno dei ponti.
E mo' pure in Austria.
Ma dico io, quanti pesci moriranno con lo stomaco lacerato dalle chiavi amorose gettate fra i flutti?
Quanta gente si pentirà a morte di aver lucchettato il proprio amore, ormai finito, a un ponte, e non avrà più le chiavi per cancellare il ricordo?

Ma è possibile che di tante cose italiane ci tocca esportare proprio questo?
Io poi i libri del tipo non li ho neppure letti.
300 metri sopra il cielo, 20 metri sotto terra, fatti sposare, scusa se ti chiamo amore, tesoro, salciccia e pomodoro ...

scusa se ti butto a fiume, direi io.
Basta!
Esportiamo altro.
Menomale che gli stranieri non lo sanno mica che è una moda italiana.
Una piaga.
Che dilaga.
Fatemi sapere se avete visto il lucchettamento altrove.

Quando lavoravo alla scuola di Valencia ero la prof. incaricata di rompere, con delle apposite tenaglione, i lucchetti degli armadietti, quando i ragazzini perdevano le chiavi.
Il mio record personale imbattuto è stato di 17 lucchetti in una mattinata.

Ma ora mi toccherebbe fare gli straordinari.

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