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24.4.12

Vi racconto una storia ...

Sono tornata dalla Bosnia lunedì mattina alle 2, ho dormito 4 ore, poi a scuola fino alle 2 di pomeriggio e di lì direttamente al secondo lavoro fino alle 10 di sera quasi.
Di ritorno a casa in frigo mi aspettava solo una mela solitaria, una lavatrice da fare perché sennò oggi sarei uscita senza calzini e mutande e poi a nanna a mezzanotte.
E ora di nuovo in piedi dalle 5.30. Di nuovo di ritorno a casa tardi, a poche ore dai miei 36 anni.

E allora dovrei parlarvi della Bosnia, del fine settimana passato fra Sarajevo e Mostar, del lungo viaggio in pullman per arrivarci, con partenza giovedì a mezzanotte, dell' impossibilità di dormire perché mi rimbombavano in testa troppe lingue mie ed altrui. E poi delle soste forzate alle frontiere con gli occhi rossi di sonno, la schiena a pezzi dopo tante ore seduti, la notte che diventa giorno in un Paese sconosciuto.

E la pioggia.

Che ci ha accolto all'arrivo a Sarajevo, velando di tristezza gli edifici che portano ancora le cicatrici della guerta. E ha inzuppato i piedi di tutti questi giovani erasmus che girano il mondo in scarpette leggere e non sanno ancora che camminare coi piedi annacquati per ore e ore ti fa perdere un po' il gusto del viaggio perché l'unica cosa che vuoi è tornartene in hotel.

Io no, io ho i miei fedeli scarponi, perché non voglio perdermi il piacere di girare per le strade di una città nuova, e il dolore di vederla ancora martoriata dai segni dall'insana violenza degli anni '90, quando io gironzolavo felice ed ignara per gli Stati Uniti.

Voglio soffrirla anche io Sarajevo, e allora convinco Gesche a farcela a piedi dall'hotel dove siamo, a più di 10km dal centro, e il passato ci schiaffeggia davvero e li vediamo proprio tutti gli edifici bombardati, con i segni dei mortai, delle pallottole, tutte ferite non cicatrizzate ed esposte.




Già per arrivarci in Bosnia era stata una via crucis, vedere le case bruciate, devastate, scheletri nella campagna. E cimiteri, piccoli, sparsi nei campi come funghi, improvvisati.




E c'è una storia che devo raccontare.
Che purtroppo è vera, e ci volevo scrivere un libro per fare finta che non lo fosse.
L'ho raccontata a poche persone, ma non l'ho scritta mai, perché è di tanto tempo fa, quando tutto quello che ho visto in questi ultimi giorni era solo il riflesso negli occhi disperati di un ragazzino.

Era una di quelle volte che io me ne tornavo da uno dei miei viaggi in Slovenia, e sola nello scompartimento del treno, ferma alla frontiera che ancora separava l'Italia dalla Slovenia, la corsa disperata di un ragazzino mi aveva tirata fuori dai miei sogni ad occhi aperti ed avevo visto quell'orrore in un posto che non sapevo di avere dietro la retina, in una memoria non mia dall'odore acre di adrenalina e fuga.

Quel ragazzino scappava dalla polizia di frontiera ed io, spavalda ventenne, l'avevo fatto nascondere dietro il mio zainone, la mia giacca e lo zainetto sul portapacchi del treno, perché lui era un scricciolo e perché la polizia di frontiera non teme le ragazzine ventenni sole.

E il mio era stata un gesto sprezzante, dai, nasconditi qua, e lui mica lo capiva l'italiano, ma aveva sentito odore di salvezza ed era sgattaiolato lassù e non aveva respirato per secoli, mentre il poliziotto di frontiera prendeva il mio passaporto, leggeva il mio nome storpiandolo, mi chiedeva ridendo se avevo alcolici appresso, e io sorridendo gli rispondevo di no, solo sonno, perché i miei viaggi in Slovenia erano sempre pieni di feste. E il poliziotto se la rideva e se ne andava e il ragazzino saltava giù, inchiodava quegli occhi disperati nei miei per un secondo e scappava via, dalla parte opposta.

E io, con il menefreghismo tipico dei ventanni, mica ci pensavo che quel ragazzino aveva al massimo 14 anni, senza soldi, e neppure una giacca ed era inverno e suo padre lo avevano ammazzato, e la sua casa l'avevano bruciata, e sua madre lo aveva abbandonato, ma non proprio, era impazzita, perché gli avevano fucilato il marito davanti, e allora l'avevano portata via, e stava al di là di quella frontiera. E poi pure di un'altra e lui voleva trovarla.

E io tutte queste cose le so, perché la vita poi gira e rigira e ti sbatte davanti a un ragazzo che conosce il tuo nome, e sa che quel giorno, quell'anno, tu tornavi dalla Slovenia, e spavalda e incosciente e menefreghista lo hai nascosto, ragazzino, dietro al tuo zaino, e hai riso con il poliziotto di frontiera e lui l'ha scampata.
E sa tutto questo perché quel ragazzino era lui, che ti ha dimenticata  e ha dimenticato il suo Paese, e ne ha trovato un altro, ma il suo nome grida guerra e fuoco e non si può dimenticare mai.

E fra milioni di persone, e al di là di tante altre frontiere, poi ci siamo rincontrati, io e lui, e il terrore nei suoi occhi si era trasformato in un dolore infinito.

http://www.reportagebygettyimages.com/features/women-of-sarajevo-revisited/#

12 commenti:

  1. dai, che una mela è meglio che niente! :)
    ps: come dice la mia mamma (e credo che l'abbia copiata), "ci si riposa già da morti"

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    1. ho iniziato a ricevere le email di commento e non capivo a cosa si riferissero. la seconda parte del post è aggiunta in seguito, vero? sono sicura di non averla già letta, avrei pianto la prima volta e non solo oggi...

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    2. Sì, sì, l'ho aggiunta dopo, il post iniziale lo avevo scritto solo per rassicurare tutti che non fossi morta.

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  2. storia tristissima che ti ringrazio di aver condiviso...pero' trovo anche molto bello che lui ti abbia ricontattato e tu sappia ora quel tuo gesto quanto e' valso davvero.

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    1. Ci siamo ritrovati per caso , lui fortunatamente poi ha vissuto ua vita 'normale', ma la guerra non si dimentica, è una ferita aperta che non si chiude mai.

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  3. Oddio, che brividi Cecilia. Non posso nemmeno lontanamente immaginare cosa possa voler dire scappare via dalla guerra...

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    1. Io avevo sentito tanti racconti della guerra in Italia, ma sentirli da lui e poi vedere ancora i segni della tragedia fa davvero male .. Poi tocca moltiplicare, centuplicare quel sentimento e allora si avrà solo una minima idea di ciò che ha passato questa gente.

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  4. mamam mia che storia. Come l'hai rincontrato?

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  5. A un incontro internazionale di professori di lingue.

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  6. Bel racconto, quanto triste.. che emozione deve essere stata incontrarvi di nuovo!
    Dancer

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    1. Uno shock davvero, e purtroppo a quell'epoca mi ha fatto anche un po' paura e non sono riuscita a mantenere i contatti. :-(

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  7. Quella guerra era troppo vicina per non essere anche nostra...tanti nostri soldati sono stati coinvolti, alcuni hanno pagato con la loro vita l'aiuto prestato.
    Ricordo tanti documentari...ma poi più nulla.
    Una guerra vicina eppure lontana. Ricordiamo giustamente l'Olocausto ma non ricordiamo i morti nelle guerre più vicine.
    Grazie per latua testimonianza.
    Tina
    p.s. Auguri per i tuoi 36 anni!!!

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