Sono passati 10 mesi di scuola.
4 stagioni da quando ho scritto questo post
qui e quest'altro
qua.
295 giorni di scuola da quando mi perdevo nei corridoi, confondevo le classi, mi si incasinava il cervello con le lezioni e con i livelli.
Come un soffio.
Ieri è stata la festa di conclusione dell'anno scolastico.
Io non ero stata a scuola i due giorni precedenti, persa fra documenti, esami, correzioni e consegna alla scuola di lingue, valigia, svuotamento stanza. Un impegno dopo l'altro incastrati alla perfezione nelle due più calde giornate degli ultimi mesi.
E così quando sono arrivata a scuola non mi aspettavo che avessero rimontato il palcoscenico, simile a quello del primo giorno, ma con sullo sfondo il murales di quelli del 9° anno che hanno terminato le scuole elementari.
Non mi aspettavo che mi sarebbe stato concesso un ruolo così rilevante in una festa che oltre a essere conclusione dell'anno, era celebrazione della Slovenia, che il 25.06 festeggia la sua indipendenza dalla Yugoslavia.
E così dopo l'introduzione della direttrice, è toccato a me, unica straniera presente, rispondere a 14 domande sul cibo, i luoghi, i personaggio e la storia di questo Paese che per 10 mesi è stato la mia casa. Con un po' di aiuto di uno studente incaricato di non farmi fare figuracce le ho azzeccate tutte, anche l'altezza del Triglav, la montagna più alta della Slovenia, e quando ho detto 2864m in sloveno l'applauso è stato entusiasta manco avessi annunciato di averla scalata in un'ora quella montagna.
Mi ero addirittura messa una maglietta nuova, ricevuta in regalo da Arianna quando era venuta a trovarmi.
Di Snoopy.
Per concludere l'anno come l'avevo cominciato.
Con un sorriso.
La sera prima la mia coinquilina anima pia mi aveva aiutata a tradurre (vabbè, lo aveva tradotto tutto lei) il mio discorso finale in sloveno.
Avevamo tagliato e accorciato, ma alla fine avevo quasi due pagine da leggere.
Avevo pure preparato 100 foto, scegliendo a caso fra le 5000 fatte in questi mesi.
Una sorta di video come sfondo alle mie parole.
In modo che magari prof e alunni si sarebbero un po' distratti e non avrebbero fatto caso ai miei strafalcioni.
Il mio discorso era alla fine.
Dopo perfomance del coro, delle piccole ginnaste della scuola, delle violiniste, di un breve spettacolino comico, della consegna di premi ed onorificenze speciali.
Io fremevo seduta al mio posto, con la gola un po' secca, ripetendo la storia della ragazzina blu che in Slovenia aveva vissuto il suo sogno di una vita.
Sono salita sul palco fra gli applausi scroscianti di tutti.
Ed è stato come se il mio corpo fosse diviso in due parti.
Le gambe con la tremarella come quando avevo 12 anni ed ero
Ceciliatimida.
Le mani ancorate al mio discorso, la voce forte, non spezzata e un sorriso.
Ho pure scherzato in sloveno.
L'ho letta con enfasi la mia storia.
Hanno riso, li sentivo, e mi hanno ascoltata sorpresi.
Poi ho alzato gli occhi, per continuare e concludere in inglese e li ho visti, i loro occhi lucidi, ed emozionati, come i miei.
Ho trattenuto le lacrime quando mi hanno dato un paccone di regali, quando la mia tutor ha letto il suo discorso e io non ne ho sentito neppure una parola, perché mi sentivo una star e mi sembrava di aver vinto l'oscar. Le ho trattenute durante gli abbracci e quando mi hanno cantato:
Cecilia, you're breaking my heart ... con le vocette spezzate.
Ho trattenuto le lacrime perché per un anno intero ho sorriso e non volevo mi vedessero piangere.
Sono venuti a frotte a dirmi
che bello il discorso, hai parlato benissimo sloveno, devi tornare, non te ne andare.
Poi le prof. di inglese ed alcune altre mi hanno portata in gelateria, a Grosuplje, vicino alla stazione dei treni, dove ero passata mille volte e non mi ero mai fermata. Volevano verificare che davvero potessi mangiare un gelato di proporzioni immense. Me lo sono preso triplo, per non deluderle. Alla dieta ci penserà la depressione che mi verrà da lunedì. (scherzo!)
Poi sono tornata a scuola.
E mentre tutti erano in classe io sono andata in sala professori dove era lo scatolone dei regali e l'ho aperto. Sapete che è da un anno e più che ho smesso di fare caso alle cose materiali.
Non compro più niente e preferisco ricevere pochi regali, perché comunque girando per il mondo mi sono resa conto che le cose non possono seguirmi.
Però dentro la scatola oltre a oggetti scelti a ricordare aneddoti che io avevo raccontato, c'erano due libri fatti di fogli rilegati. Fogli di lettere e disegni. Di un sacco di ragazzini. Tantissimi.
Pagine e pagine colorate, scritte in sloveno, e in inglese.
In cui mi raccontavano come si erano divertiti nelle mie classi, anche quelli che all'inizio pensavano:
ma questa chi è e che è venuta a fare. E che erano colpiti dal fatto che non mi avessero mai vista triste. E sempre piena di energie.
E allora senza accorgermene ho cominciato a piangere.
Zitta zitta.
Sorridendo.
La valigia tiranna mi impedisce di portare con me quei due libroni di lettere e disegni. La scuola me li spedirà a Roma, così li potrà vedere anche la mia mamma.
Però io me li sono impressi bene a mente.
Perché ci sono stati mesi o magari pure anni della mia vita che non sorridevo.
E non mi va che risucceda.
In Slovenia non avrò imparato lo sloveno, ma ho imparato a cercare di essere felice.
A mantenere il cuore leggero il più possibile.
A schivare le cattiverie e i pettegolezzi della gente.
A fare i conti con la mia coscienza e le mie azioni e a cercare di fregarmene di quelle degli altri.
Grazie Slovenia, grazie per avermi fatto venire le rughe dal tanto sorridere.